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Matteo Bandello, Novelle

* Lettera dedicatoria

IL BANDELLO A LA MOLTO ILLUSTRE E VERTUOSA EROINA LA SIGNORA GINEVRA RANGONA E GONZAGA

* Esser sempre stata la vertú in ogni secolo ed appo tutte le genti d'ogni parte del mondo in grandissima stima, e i vertuosi uomini cosí ne la dottrina de le lingue come de la filosofia e in ogni altra arte eccellenti esser stati da' grandissimi prencipi e da le bene institute republiche sempre onorati, tenuti cari, essaltati e largamente premiati, tanto per le memorie che se n'hanno e per quello che tutto il si vede è chiaro che di prova alcuna non ha bisogno. Erano in Milano al tempo di Lodovico Sforza Vesconte duca di Milano alcuni gentiluomini nel monastero de le Grazie dei frati di san Domenico, e nel refettorio cheti se ne stavano a contemplar il miracoloso e famosissimo cenacolo di Cristo con i suoi discepoli che alora l'eccellente pittore Leonardo Vinci fiorentino dipingeva; il quale aveva molto caro che ciascuno veggendo le sue pitture, liberamente dicesse sovra quelle il suo parere.

* Soleva anco spesso, ed io piú volte l'ho veduto e considerato, andar la matina a buon'ora e montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dí che non v' averebbe messa mano, e tuttavia dimorava talora una e due ore del giorno, e solamente contemplava, considerava, ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie, ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di subito partirsi e andar altrove. Era in quei dí alloggiato ne le Grazie il cardinal Gurcense il vecchio, il quale si abbatté ad entrar in refettorio per veder il detto cenacolo, in quel tempo che i sovradetti gentiluomini v'erano adunati. Come Lionardo vide il cardinale, se ne venne giú a fargli riverenza, e fu da quello graziosamente raccolto e grandemente festeggiato. Si ragionò quivi di molte cose ed in particolare de l'eccellenza de la pittura, desiderando alcuni che si potessero veder di quelle pitture antiche che tanto dai buoni scrittori sono celebrate, per poter far giudicio se i pittori del tempo nostro si ponno agli antichi agguagliare. Domandò il cardinale che salario dal duca il pittore avesse. Li fu da Lionardo risposto che d'ordinario aveva di pensione duo mila ducati, senza i doni ed i presenti che tutto il dí liberalissimamente il duca gli faceva. Parve gran cosa questa al cardinale, e partito dal cenacolo a le sue camere se ne ritornò. Lionardo alora a quei gentiluomini che quivi erano, per dimostrare che gli eccellenti pittori sempre furono onorati, narrò una bella istorietta a cotal proposito. Io che era presente al suo ragionamento, quella annotai ne la mente mia, ed avendola sempre tenuta ne la memoria, quando mi posi a scriver le novelle, quella anco scrissi. Ora facendo la scelta d'esse mie novelle ed essendomi venuta questa a le mani, ho voluto che sotto il vostro valoroso nome sia veduta e letta. * Il perché quella vi dono e al vostro nome dedico e consacro in testimonio de la mia servitú verso voi e de le molte cortesie vostre a me, la vostra mercé, usate. State sana.

* NOVELLA LVIII

Fra Filippo Lippi fiorentino pittore è preso da' mori e fatto schiavo e, per l'arte de la pittura, è fatto libero ed onorato.

Questo monsignor cardinale s'è molto meravigliato de la liberalità che meco usa questo nostro eccellentissimo e liberal signor duca Lodovico; ma io assai piú di lui mi meraviglio e de la sua, - sia questo con riverenza del suo rosso cappello detto, - ignoranza, dimostrando egli poco esser essercitato ne la lezione dei buoni autori. E per non dirvi de l'onore che era fatto agli uomini eccellenti ne le varie scienze e ne l'altre arti, che sempre furono in grandissimo pregio, voglio per ora solamente parlarvi de l'onore e riverenza avuta ai pittori. Né pensate che io voglia tenervi lungamente a bada e discorrer per il catalogo di tutti i pittori famosi che fiorirono in quei buon tempi antichi; ché se ciò far volessi, il giorno d'oggi non ci basterebbe. Voglio che circa gli antichi d'un sol essempio del magno Alessandro e del gran pittore Apelle siamo contenti, e che dei moderni un solo d'un pittor fiorentino ci basti. Venendo adunque al fatto, vi dico che Apelle fu in grandissima riputazione appo Alessandro magno e tanto suo domestico che assai sovente egli entrava ne la bottega d'Apelle a vederlo dipingere. Ed una volta tra l'altre, disputando Alessandro con alcuni e dicendo molte cose indottamente, Apelle assai mansuetamente lo riprese dicendogli: - Alessandro, taci e non dir coteste fole, perché tu fai rider i miei garzoni che distemperano i colori. - Vedete se l'autorità d'Apelle appo Alessandro era grande, ancora che egli fosse superbo, sdegnoso e fuor di misura iracondo. Lasciamo che Alessandro per publico editto comandasse che nessuno il dipingesse se non Apelle. Volle egli che una volta Apelle facesse il ritratto di Campaspe sua bellissima concubina e che la dipingesse ignuda. Apelle veduto l'ignudo e formosissimo corpo di cosí bella giovane, fieramente di quella s'innamorò; il che Alessandro conoscendo, volse che egli in dono l'accettasse. Fu Alessandro d'animo grande, e in questo caso divenne di se stesso maggiore, né men grande quanto s'avesse acquistato una gran vittoria. *Vinse egli se stesso, e non solamente il corpo de la sua amata Campaspe donò ad Apelle, ma gli diede anco l'affezione che a quella aveva, non avendo rispetto veruno a lei, che d'amica d'un tanto re ella divenisse amica d'un artefice. Ora vegniamo ai tempi nostri, e parliamo d'un pittor fiorentino e d'un corsaro di mare. Fu in Firenze Tomaso Lippi, il quale ebbe un figliuolo chiamato Filippo, che d'anni otto, *essendo morto il padre né avendo come sostentar la vita, fu da la povera madre dato a' frati del Carmeno. Cominciò il fraticello in luogo d' imparar lettere, tutto il dí ad imbrattar carte e mura facendo qualche schizzo di pittura; il che veduto dal priore e conosciuta l'inclinazione del fanciullo, gli diede comodità di darsi a la pittura. Era nel Cármino una cappella di nuovo dipinta da un eccellente pittore. Piaceva ella molto a fra Filippo Lippi, che cosí il fraticello era appellato, onde tutto il dí era dentro con altri garzoni a disegnare, e gli altri di cosí gran lunga avanzava di prestezza e di sapere, che appo ciascuno che il conosceva era ferma ed universal openione ch'egli ne l'etá matura devesse riuscire pittor eccellentissimo. * Ma fra Filippo nel fiorir degli anni non che ne l'etá matura tanto s'avanzò e cosí divenne nel dipinger perfetto, che tante lodevoli opere fece che fu un miracolo, come in Firenze nel Carmeno e in altri luoghi oggidí si può vedere. Il perché sentendosi da molti lodare e rincrescendogli la vita fratesca, lasciò l'abito da frate ancor che giá fosse ordinato diacono. Fece molte belle tavole dipinte al magnifico Cosimo de' Medici, al quale fu di continovo carissimo. Era il pittore sovra modo libidinoso ed amator di femine, e come vedeva una donna che gli fosse piacciuta, non lasciava cosa a far per averla e le donava tutto ciò che aveva, e mentre in lui questo umor regnava, egli nulla o poco dipingeva. Faceva fra Filippo una tavola a Cosimo dei Medici che egli voleva donar a papa Eugenio veneziano;  e veggendo il Magnifico che egli assaissime volte lasciava il dipingere e dietro a le femine si perdeva, volle tirarlo in casa, ve lo tirò, a ciò che fuor non andasse a perder tempo, ed in una gran camera le rinchiuse. Ma statovi a gran pena tre giorni, la seguente notte con un paio di forbici fece alcune liste de le lenzuola del letto, e da una finestra calatosi, attese per alquanti giorni a' suoi piaceri. Il magnifico Cosimo che ogni dí era solito visitarlo, non lo trovando, molto fu di mala voglia, e mandatolo a cercare lo lasciò poi dipingere a sua volontà, e fu da lui con prestezza servito, dicendo egli che i pari suoi, d'ingegni rari e sublimi, sono forme celestiali e non asini da vettura. Ma vegniamo al fatto per cui mosso mi sono a ragionarvi di lui, per mostrarvi che la vertú ancora appresso ai barbari è onorata. Era fra Filippo ne la Marca d'Ancona, e andando un dí in una barchetta con alcuni amici suoi a diportarsi per mare, ecco che sovragiunsero alcune fuste d'Abdul Maumen, gran corsaro alora de le parti di Barbaria, e il buon fra Filippo con i compagni fu preso, e tutti furono tenuti schiavi e messi a la catena e in Barberia condotti, ove in quella miseria furono tenuti circa un anno e mezzo, nel qual tempo in vece del pennello conveniva al Lippi a mal suo grado menar il remo. Ora essendo tra l'altre una volta fra Filippo in Barberia, non essendo tempo da navigare fu posto a zappare e coltivar un giardino. Aveva egli in molta pratica Abdul Maumen suo padrone, onde toccato dal capriccio, un giorno quello con carboni sí naturalmente suso un muro ritrasse con suoi abbigliamenti a la moresca che proprio assembrava vivo. Parve la cosa miracolosa a tutti, non s'usando il dissegno né la pittura in quelle bande; il che fu cagione che il corsaro lo levò da la catena e cominciò a trattarlo da compagno, e per rispetto di lui fece il medesimo a quelli che seco presi aveva. Lavorò poi fra Filippo con colori alcuni bellissimi quadri ed al padrone gli diede, il quale per riverenza de l'arte molti doni e vasi d'argento gli diede ed insieme coi compagni liberi e salvi, con le robe a Napoli fece per mar portare. Certo gloria grandissima fu questa de l'arte, che un barbaro natural nostro nemico si movesse a premiar quelli che schiavi sempre tener poteva. Né meno fu la virtú di fra Filippo tra noi riverita. Ebbe modo egli d'aver una bellissima giovane fiorentina detta Lucrezia, figliuola di Francesco Buti cittadino, e da quella ebbe un figliuolo chiamato anco egli Filippo, che poi riuscí pittore molto eccellente. Vide papa Eugenio molte meravigliose opere di fra Filippo, e tanto l'amò, tenne caro e premiò, che lo volle, ancor che fosse diacono, dispensare che potesse prender la Lucrezia per moglie. Ma egli non si volse a nodo matrimoniale legare, amando troppo la libertà.    

1 *
Ogni novella è preceduta da una lettera dedicatoria indirizzata a una figura di spicco, uomo o donna, di quei tempi. Si può ometterne la lettura e passare direttamente alla novella. Nella lettera dedicatoria che precede questa novella Bandello si rivolge alla nobile Rangone Gonzaga, morta già da 10 anni quando Bandello scrive la novella. Bandello ricorda il grande pittore Leonardo, impegnato a dipingere l’affresco dell’Ultima cena nel cenacolo delle Grazie a Milano, cita le sue abitudini di lavoro e racconta come la novella, che qui di seguito appare, sia stata appunto narrata da Leonardo in una delle pause di lavoro, da Bandello memorizzata e qui raccontata di nuovo. In realtà la prima parte della novella, quella relativa ad Alessandro ed Apelle, è ripresa dalla Naturalis historia di Plinio, la seconda parte, la vita del pittore Filippo Lippi, è narrata nelle Vite di Giorgio Vasari.

2 *
È chiaro che non c’è bisogno di nessuna prova per il fatto che la virtù è sempre stata molto stimata (essere in grandissima stima) in ogni secolo e da tutti i popoli (appo tutte le genti) e gli uomini virtuosi hanno sempre goduto di grandi onori presso i principi e presso le repubbliche ben governate. La frase principale è alla fine di questo lungo periodo. Si introduce subito il tema della novella: l’apprezzamento della virtù, artistica e intellettuale, da parte dei governanti.

3 vertú
Le forme in i (virtù, virtuosa) si alternano a quelle in e (vertù, vertuosa), oggi sentite come arcaiche; alternanza vocalica in protonia. Virtù è da intendersi qui non nel senso morale, bensí nel senso di valore, abilità artistica.

4 appo
Presso, appo.

5 ne la
Nella. Prevale la forma analitica di preposizione + articolo, preposizioni articolate.

6 le bene institute republiche
Gli stati ben governati. Repubbliche si oppone qui ai principati.

7 essaltati
Esaltati, doppie e scempie: numerose le oscillazioni che si incontrano nelle Novelle di Bandello rispetto all’uso moderno. Sia che si incontri una consonante geminata, laddove oggi abbiamo la consonante scempia, sia viceversa (v. più avanti alora invece di allora).

8
Giorno.

9 alcuna
Di nessuna prova, indefiniti.

10 cheti
Quieti, tranquilli.

11 contemplar
Apocope.

12 aveva molto caro
Ci teneva molto, voleva.

13 veggendo
Vedendo, -eggio/-aggio.

14 sovra
Su, sopra.

15 *
Bandello si presenta qui come testimone (io piú volte l'ho veduto) delle abitudini (Soleva…) di lavoro di Leonardo durante la pittura del famoso affresco alle Grazie di Milano.

16 anco
Anche.

17 ponte
I ponteggi, le impalcature che consentivano al pittore di raggiungere la parete da dipingere.

18 di continovo
Senza sosta, continuamente.

19 dui
Numerali.

20 averebbe
Avrebbe.

21 dimorava
Sostava. Anche quando non dipingeva, si fermava a studiare l’affresco.

22 secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava
A seconda del capriccio o dell’estro, quando gli veniva voglia.

23 partirsi
Pronomi riflessivi.

24 il sole è in lione
Quando il sole è nel segno del Leone, cioè tra luglio ed agosto, al culmine dell’estate. Ancora oggi c’è l’espressione: solleone.

25 Corte vecchia
La Corte Vecchia è il Castello Sforzesco, sede dei Signori di Milano, dove Leonardo stava contemporaneamente lavorando ad un monumento equestre di Francesco Sforza.

26 asceso
Salito.

27 si abbatté
Gli successe per caso di entrare, abbattersi equivale qui all’odierno imbattersi.

28 Come
Appena.

29 raccolto
Accolto, ricevuto.

30 ragionò
Ragionare.

31 quivi
Ivi/quivi.

32 far giudicio
Per poter formarsi un’opinione, un giudizio, grafia.

33 ponno
Potere.

34 agguagliare
Paragonare, il confronto tra antichi e moderni era uno dei temi dibattuti nel Rinascimento, come pure il primato delle arti.

35 avesse
Posposizione del verbo.

36 Li
Gli, pronomi personali.

37 d'ordinario
Normalmente.

38 liberalissimamente
La liberalità, cioè la generosità, è una delle qualità più apprezzate in un gentiluomo, in un principe. Liberalità è un concetto centrale nella società cortese medievale.

39 cotal
Dimostrativi.

40 era
Ero, imperfetto indicativo.

41 vostro valoroso nome
Captatio benevolentiae.

42 *
Per questo vi dono questa novella e la dedico al vostro nome, a testimonianza della mia servitù nei vostri confronti e delle molte cortesie che mi avete usato (dei molti favori che mi avete fatto), bontà vostra.

43 State sana
Calco della formula di saluto latina: valelatinismi.

44 *
La novella LVIII si presenta come una novella a scatole cinesi: Bandello racconta che il pittore Leonardo da Vinci racconta una novella che ha per protagonista un altro pittore fiorentino, Filippo Lippi, dopo aver però parlato di un altro pittore dell’antichità, Apelle. Il denominatore comune è l’apprezzamento da parte dei potenti dei meriti degli artisti. Il tema della dignità e nobiltà delle arti in generale e delle singole arti in particolare fu caldamente dibattuto nel ‘500. Come nelle novelle del Decameron di Boccaccio (vedi IV, 5 e VI, 1) le novelle sono precedute da una “fronte” o "rubrica" che in due righe anticipa il contenuto e l’esito della vicenda.

45 da'
Dai, preposizioni articolate.

46 mori
I saraceni, gli arabi.

47 Questo monsignor cardinale
Riferimento al Cardinale Guercense, citato nella lettera, che si stupì con Leonardo per l’alto compenso che questi riceveva dal Duca di Milano, Ludovico il Moro (1452-1508), per le sue prestazioni.

48 de la
Della, preposizioni articolate.

49 liberalità
Generosità.

50 meco
Con me, pronomi comitativi. L’io narrante è Leonardo da Vinci.

51 assai
Molto.

52
Ora, avverbio di tempo.

53 rosso cappello
Il cappello rosso, attributo dei cardinali.

54 essercitato
Il cardinale non dimostra dimestichezza con gli autori classici. Esercitato / essercitatodoppie e scempie.

55 furono in grandissimo pregio
Godettero di grande considerazione.

56 ché
Ché.

57 volessi
Posposizione del verbo.

58 essempio
Esempio, assimilazione dal latino exemplum.

59 siamo contenti
Ci accontentiamo.

60 adunque
Dunque, congiunzioni.

61 Apelle
Il pittore Apelle godeva di grande intimità e familiarità presso Alessandro Magno. Di Apelle si parla anche nel Cortegiano di Castiglione.

62 appo
Presso.

63 domestico
Il pittore Apelle godeva di tale intimità e familiarità presso Alessandro Magno.

64 sovente
Avverbi di tempo.

65 indottamente
In maniera errata, parlando senza avere conoscenze in materia artistica.

66 coteste
Dimostrativi.

67 fole
Favole, sincope.

68 ancora che
Sebbene, congiunzioni.

69 egli
Riferito ad Alessandro.

70 Lasciamo
Tralasciamo, non parliamo poi del fatto che [...].

71 il
lo, pronomi personali.

72 ignuda
Nuda.

73 l'ignudo e formosissimo corpo
Si noti l’anteposizione degli attributi al sostantivo sull’esempio della prosa latina.

74 fieramente
Fortemente; anche in Boccaccio fieramente è spesso usato come avverbio di quantità.

75 conoscendo
Venendo a conoscenza di ciò.

76 volse
Volle.

77 divenne di se stesso maggiore
Superò se stesso con quest’atto di generosità.

78 *
Alessandro superò se stesso e donò ad Apelle, oltre che l’amica, anche l’affetto che nutriva verso di lei, senza curarsi che da amica di tale re diventasse amica di un semplice artista.

79 veruno
Nessun rispetto, indefiniti.

80 artefice
Artista.

81 vegniamo
Veniamo, gn/ng.

82 *
Alla morte del padre, quando Filippo aveva solo otto anni, non avendo la madre di che mantenerlo, lo affidò ai frati del convento del Carmine.

83 in luogo d'
Invece di.

84 imbrattar carte
Il giovane Filippo passava le giornate a „sporcare“ carta e mura, cioè a disegnare e dipingere.

85 conosciuta
Riconosciuta.

86 gli diede comodità
Il priore del convento gli concesse di dedicarsi alla pittura.

87 un eccellente pittore
Riferimento agli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci, nella chiesa del Carmine.

88 fra
Frate, apocope sillabica.

89 onde
Ragion per cui, onde/donde.

90 avanzava di prestezza e di sapere
Superava di tanto gli altri in abilità, velocità d'esecuzione e conoscenze.

91 *
Ma Filippo già fin da ragazzo, prima di raggiungere l’età matura, progredì tantissimo e raggiunse la perfezione nella pittura.

92 rincrescendogli
Poco piacendogli la vita da frate.

93 sovra modo
In grande misura, molto.

94 come
Appena.

95 non lasciava cosa
Non tralasciava nulla pur di averla.

96 tavola
Una pittura su tavola, sineddoche.

97 veggendo
Vedendo, -eggio/-aggio.

98 Magnifico
Epiteto normalmente attribuito a Lorenzo de’ Medici, qui si parla però del nonno, Cosimo il Vecchio.

99 assaissime
Moltissime, assai.

100 a ciò che
Affinché, congiunzioni.

101 statovi
Rimasto lì, enclisi pronominale.

102 liste
Strisce di stoffa.

103 attese
Si dedicò ai suoi piaceri.

104 alquanti
Diversi, parecchi, indefiniti.

105 lo trovando
Non trovandolo. Nella novelle l'enclisi pronominale è a volte applicata al gerundio a volte no.

106 i pari suoi
Gli uomini come lui, gli artisti.

107 non asini da vettura
Metafora scherzosa; in cui si manifesta la stima di Cosimo per le qualità artistiche di Filippo Lippi, a dispetto delle sue passioni e intemperanze. Gli artisti sono paragonati a creature celesti e non sono certo delle bestie da soma.

108 ancora
Anche.

109 diportarsi
Filippo un giorno fa un giro in barca con alcuni amici per divertimento (per diporto).

110 fuste
Tipo di piccole navi.

111 Barbaria
Regione del Nord Africa tra il Marocco e l’Algeria.

112 menar il remo
Filippo, fatto schiavo, fu costretto a remare nelle navi arabe.

113 Aveva egli in molta pratica
Era in confidenza.

114 carboni
Usando un carboncino per tracciare su un muro il ritratto del suo padrone.

115 suso
Su, avverbi di luogo.

116 assembrava vivo
Il ritratto è talmente fedele da sembrar vivo.

117 quelle bande
In quelle regioni.

118 cagione
A causa di ciò, cagione.

119 il medesimo
La stessa cosa.

120 seco
Con sé, pronomi comitativi.

121 Lavorò
Il verbo lavorare è usato qui con oggetto diretto: lavorò = fece, eseguì alcuni quadri bellissimi.

122 gli
Li, pronomi personali.

123 si movesse
Si convincesse di liberare coloro che avrebbe potuto tenere come schiavi.

124 dispensare
A Filippo viene concessa la dispensa dal papa, può cioè rinunciare ad essere ecclesiastico per potersi sposare.

125 volse
Volle.